Stamattina nevicava… Sembra quasi che la primavera non voglia prendersi gioco di noi, stia cercando di rallentare, per quel che può, il suo arrivo, di evitare le belle giornate, di spargere i suoi profumi che contribuiscono a rendere bella Bologna in questo periodo. Per non farci pesare questa reclusione forzata. Per non spingerci a uscire per strada come è naturale che sia. Per non farci guardare con rimpianto a quelle giornate nelle quali uscivi nel pomeriggio e, tra una chiacchiera e l’altra, magari con buone vibes in sottofondo, tornavi a casa a notte fonda.
Però, lo sa anche lei, la primavera, che non potrà resistere a lungo, e, per forza di cose, la nostra impossibilità di uscire durerà oltre il suo arrivo. Non può farci niente. Per quel che può, resiste.
Tutto, qui a Bologna, è cominciato con quel decalogo del Cardinal Zuppi, nel quale, tra le altre cose, si ordinava: “Si tolga l’acqua benedetta dalle acquasantiere.” Era il 24 febbraio e quelle disposizioni sembravano provenire da un altro tempo, richiamare contagi e momenti della storia ormai dimenticati. Suonavano di Medioevo, e, il Medioevo, l’era della ragione sembrava averlo scacciato per sempre.
Invece ci ritroviamo qui, prigionieri di un virus che la scienza non riesce a combattere, rinchiusi nelle nostre case.
Ma, di quei primi giorni, non sono solo le parole di Zuppi a fare eco: prima che la strage dovuta al virus mostrasse ai nostri occhi colonne di bare trasportate altrove dai mezzi dell’esercito perché alcune città non riuscivano più a farsi carico di loro, un’altra strage si era compiuta, più piccola, ma non meno significativa. Quattordici detenuti, uccisi, dicono in grossa parte dal metadone, durante le rivolte che avevano infiammato le carceri agli inizi di marzo. Chissà se mai avranno giustizia. Se qualcuno si chiedera: “è possibile che chi era insorto per non fare la fine del topo, per protestare contro l’impossibilità di vedere i propri cari, si sia strafatto fino a morire?”
Un ministro della giustizia degno di questo nome, in un momento come questo, avrebbe già avviato le pratiche per l’amnistia, l’indulto e la detenzione domiciliare; per mandare a casa chi ha pene brevi da scontare, riducendo così il numero dei detenuti, che in questo momento sovraffollano le carceri, e, di conseguenza, evitare che la diffusione del contagio possa avere conseguenze catastrofiche su chi il carcere lo subisce e su chi ci lavora. Noi, però, come ministro della giustizia abbiamo Dj Fofò, e il suo giustizialismo targato Cinque stelle, in provvedimenti ragionevoli non possiamo sperare più di tanto… Chissà se quei morti avranno mai giustizia.
È passato un mese, ma pare un’eternità da quando si erano accavallate voci che descrivevano la malattia come un’influenza un po’ più carogna, una malattia che ammazzava solo vecchi che sarebbero morti comunque; voci che dicevano in maniera molto decisa che le città non si fermavano, dovevano continuare a produrre. Voci che hanno un’enorme responsabilità in quello che poi è avvenuto, per la diffusione del contagio, per le bare di migliaia di donne e uomini che non hanno neanche ricevuto l’ultimo saluto dai propri cari.
Adesso siamo qui, a chiederci (in realtà qualcuno, con uno spiccato senso critico, ci metteva in guardia già dall’inizio) se misure emergenziali, adottate per contenere il virus, in qualche modo potranno divenire strutturali, intaccando le liberà di tutt*.
Siamo qui, a piangere morti, a pensare quando tutto questo finirà; a maledire Confindustria, perché, se alcune zone, come quella di Alzano, nel bergamasco, fossero state chiuse quando il contagio ha cominciato a divenire significativo, non conteremmo vittime a migliaia. Invece si è preferito garantire il profitto di pochi a scapito della salute di tutt@. Trasformando l’Italia intera in Taranto, una città nella quale siamo abituati a barattare la salute con gli interessi economici.
Penso a Montemesola, il mio paese, alla mia provincia, quella di Taranto, e sono preoccupato dagli effetti disastrosi che la diffusione della malattia potrebbe avere in quella terra, dove già in ogni famiglia ci sono ammalati di patologie frutto di un’industrializzazione criminale e senza scrupoli.
Mi chiedo se questa estate potrò tornare in quella che, nonostante tanti anni fuori, continuo a chiamare casa; se potremo andare a mare, che tanto mi manca; se ad agosto ci sarà il Rozz, o la serata che da qualche anno ne ha preso il posto e se, in quei giorni, i nostri sguardi riusciranno a essere spensierati come sempre, per poco, ma nonostante tutto, lo sono stati in quell’occasione.
E il lavoro? Ci sarà ancora da lavorare nella crisi che seguirà questi giorni? Chi il lavoro lo ha perso a causa del blocco, come farà a sopravvivere senza un reddito di quarantena? E chi, invece, come i lavoratori della sanità o quelli dei supermercati, è ancora costretto a lavorare, senza garanzie e protezioni, rischiando di ammalarsi?
Credo che aver accettato certe misure in questa fase, averne subito a denti stretti e senza dimenticare, ma senza fare molto casino, gli abusi, un domani, quando qualcuno vorrà renderle strutturali (e sono sicuro che avverrà), ci darà l’autorevolezza per combattere, da una posizione maggioritaria, le pulsioni reazionarie.
Spero che un domani, quando ci sarà chi tornerà a parlare di tagli alla sanità, si becchi, per usare un eufemismo, dei sonori fischi, perché la strage di questi giorni è frutto dei tagli indiscriminati alla sanità pubblica.
Penso che, quando tutto sarà finito, le nuove solidarietà che sono nate e si sono radicate in questi giorni saranno maggioritarie nel Paese, dove non ci sarà più spazio per l’odio e la propaganda becera di chi, anche in questi giorni difficili, non ha perso occasione per diffondere informazioni false e cercare di raccattare voti approfittando di un momento di debolezza (ogni riferimento a Salvini e a Meloni non è puramente casuale).
Vorrei rivedere le strade riempirsi di gente che balla, canta, si parla, si abbraccia. Mi piacerebbe che qui a Bologna, e in ogni luogo, street parade attraversassero le città in un grande rito collettivo che scaccia la paura.
Perché, quando tutto sarà finito, nulla dovrà essere come prima. È il prima, le politiche neoliberiste, classiste e di chiusura che lo hanno caratterizzato, ad aver prodotto i lutti di oggi. Tutto, credo, dipenderà da noi, dalla forza che sapremo mettere in campo.
Mai come oggi un mondo migliore non solo è possibile, è necessario. Abbiamo bisogno di tutti i nostri migliori pensieri.